Cecilia – una storia (quasi) vera

Proseguendo sul registro leggero degli ultimi post, racconterò qui una storia che vorrebbe essere risposta alla richiesta della cara amica Riu in questo post.
Le chiedo pubblicamente scusa, avrei dovuto postare la storia sul suo blog, e quella era l’intenzione. Poi il racconto si è sviluppato oltre misura e mi sembrava più adatto per farci un post io. Riu, mi perdoni?  E soprattutto, accetti questa roba per il tuo concorso a premi?

La storia, a parte qualche coloritura e i nomi, è vera. Il finale, sospeso stile storia della Monaca di Monza, ha un epilogo adatto al concorso di cui al post di Riu.

Le notti degli adolescenti del mio paese (e del circondario) erano tanti anni fa turbati da una bella e procace ragazza, simpatica e disponibile… anche troppo.
La chiamerò Cecilia, in onore di Paul Simon.
Qualcuno ricorderà il ritornello di quella canzone:

Celia, you’re breaking my heart
You’re shaking my confidence daily
Oh, Cecilia, I’m down on my knees
I’m begging you please to come home

Ai tempi certe porzioni di superficie epidermica non erano esposte così frequentemente come ai nostri giorni, e Cecilia era generosa in questo dono di sé.
Per questa ed altre ragioni aveva sempre un codazzo di ammiratori che non aspettavano altro che il legittimo moroso di turno si levasse dai piedi per chiedere (e ottenere) grazie da lei (niente di devoto, sappiate!).
Io avevo la "fortuna" di essere nel novero dei "veri amici" di Cecilia (qualche anno fa girava una banalità musicale di Max Pezzali dal titolo "La regola dell’amico"… chi la conosce sa cosa intendo). E, da quella persona ammodo che sono (o che ero allora), prendevo molto seriamente il mio ruolo.
Era un pomeriggio d’estate, Cecilia era decisamente in forma: aveva appena fatto venire mezzo infarto ad un ragazzo piuttosto timido che, notando la lucentezza setosa delle gambe di lei, abbondantemente emergenti dalla molto meno abbondante gonna, le aveva chiesto, tanto per fare lo spavaldo, se si fosse depilata.
Lei lo guardò con i suoi occhi scintillanti (o almeno, tali parevano a noi maschietti under 20) e gli rispose: "No, li ho decolorati, tocca!", prendendogli la mano e passandosela su una coscia.
Mentre il poveraccio si riprendeva dal coccolone, si rivolse a me, che facevo il finto indifferente, dicendomi: "Mario, mi piacerebbe imparare a suonare la chitarra, a casa ho quella di mio fratello. Vieni a farmi vedere qualche accordo?".
Io, sempre gentile, annuii e la seguii verso casa sua, fra i rivoli di bava degli astanti.
Per la lezione scelse il salotto di casa, che oscurò chiudendo le persiane "Per evitare il caldo!".
Mi disse che doveva andare un attimo nella sua stanza, sua madre le aveva comprato un reggiseno che avrebbe dovuto provare. Nel frattempo potevo iniziare ad accordare lo strumento.
Tornò presto, stavo ancora spippolando con re, la, sol, e chiuse a chiave la porta. Particolare inquietante.
Si sedette accanto a me, così vicina che neppure un gentiluomo par mio avrebbe potuto fare a meno di notare che la camicetta stava chiusa per un solo bottone a metà petto, facendo intravvedere un angolo di paradiso.

Come prosegue la storia? Tenuto conto che, coloriture e nomi a parte, è vera, attendo vostre illazioni.