Ike….aaaaah!

Ho trascorso quasi tutta la mia vita nella stessa casa, al limite migrando dal primo piano al pianterreno. La casa  ha mantenuto la stessa composita mobilia di quando è stata costruita, oltre quarant’anni fa. Questo non vuol dire che i mobili abbiano quell’età: un sacco di roba è stata recuperata dalle abitazioni di nonni, zii, parenti, amici vari. Il letto in cui dormo, di una piazza e mezzo, lo usavano mio padre e suo fratello settant’anni fa. Per i curiosi, anch’io ci ho dormito in (dolce) compagnia. Né io né la fortunata (o sfortunata) siamo giganti, ed in alcune circostanze non è male aver poco spazio a disposizione
…tranne d’estate, con il fantastico clima della bassa. Come oggi, per esempio.
Ripensandoci, il fatto di avere ora il letto tutto per me non mi fa stare meglio
Oltre al letto, altri mobili in uso vengono da epoche remote: armadi, comodini, comò… quasi tutta robe vecchia e spaiata.
La mia stanza da letto – studio – musica – quelcheviene è quella più affollata di eterogenea mercanzia da rigattiere.

Per questa ragione ho poca dimestichezza con i mobili componibili, così diffusi nelle case modernamente arredate.
Anni fa acquistai una piccola libreria, impiegai un pomeriggio per montarla in modo approssimativo. Il lavoro lo finì mio fratello il giorno dopo…

Per parecchio tempo mi tenni alla larga da siffatte diavolerie. Fino alla scorsa estate. Nell’azienda per cui lavoro tutto ciò che ha a che vedere con l’informatica viene considerato affar mio. Una mattina mi trovai sulla scrivania uno di quegli orologi della Oregon Scientific da sistemare. Manca solo che mi portino una lavatrice… basta che qualcosa abbia un display e subito diventa mio appannaggio.
Quel giorno d’estate, afoso in modo insopportabile, mi convocarono all’ufficio commerciale: era arrivato il mobiletto porta pc che avevano ordinato, la mia  missione era di montarlo.
"Eh?" sbottai indignato. Ma lo sguardo da cerbiatta di un’impiegata mi convinse a mostrare la mia abilità.
Iniziai con il tagliarmi con il cartone degli imballi. Bestemmie da scomunica per direttissima trattenute mordendomi la lingua (cosa che fece scaturire altre bestemmie da reprimere.
Poi trascorsi un quarto d’ora fingendo di studiare gli schemi, in realtà guardando disperato la marea di viti, tasselli, pomelli, randelli… carrelli, volevo dire, rotelle uscite dalle scatole.
Un venditore, perito meccanico, che passava da quelle parti fu da me reclutato per l’impresa. Quella gente ha sempre debiti di riconoscenza con me per cazzate informatiche rimediate. Il tipo si occupa di forni industriali, vuoi che non sappia montare un carrello porta pc?
No.
Così eccoci in due a strisciare per terra, infilando viti a caso, facendo crescere orrende strutture deformi, per poi smontarle e ricominciare.
Un ingegnere, anche lui di passaggio, diede il suo contributo entropico di confusione, anche grazie a discussioni su principi e metodi.
Dopo quasi quattro ore il carrello, incerto e traballante, fu assemblato. Avanzammo, come nella migliore tradizione, parecchi pezzi, e sentii sinistri scricchiolii quando appoggiai computer e monitor sulla struttura. Per ora regge.

Il mese scorso l’amico Damiano, responsabile dell’ufficio acquisti, decise di comprarmi una nuova poltroncina, la mia era strappata in più punti e l’amministratore, quando passava davanti alla mia postazione, mi guardava come se vedesse un barbone avvolto nei cartoni.
Ne comprò anche una per se. Quando arrivarono ovviamente erano da montare.
"Che sarà mai, montare una poltroncina?", mi fa Damiano, studi di ingegneria alle spalle.
Iniziammo alle 12, ognuno con i pezzi del suo futuro sedile, baldanzosi. A guardarci l’impiegata più minigonnata dell’azienda.
Alle dodici e mezza eravamo più sudati dei clienti di un bagno turco, i capelli negli occhi, lo sguardo assassino, io un dito sanguinante. Le poltroncine, parzialmente assemblate su pavimento. L’impiegata stravaccata su una scrivania a sghignazzare.
Ce la cavammo per le 13, ora della pausa pranzo, per niente sicuri di avere effettuato correttamente il montaggio.

Un paio di settimane fa, dopo un pomeriggio movimentato in giro per i vari uffici, rientro al mio posto e mi lascio cadere sulla poltroncina.
La caduta prosegue ben oltre il sedile: con un gran botto lo schienale si stacca, facendomi rotolare a terra.
Fu quasi necessario chiamare un’ambulanza. Non per me, che mi ero solo ammaccato il fondo schiena, ma per la minigonnata di cui sopra che stava per soffocare dall’accesso di riso convulso.

Per alcuni giorni circolarono email di scherno, quando le troverò posterò le più significative nei commenti.