La sera del Giorno della Festa

Oggi è il giorno della festa, al mio paese. Una festa che vivo soprattutto nel ricordo.
Dedico questa storia a mio padre, che ieri è stato ricoverato in ospedale e che di questa festa non vedrà nulla.

– Cosa fai? No, NO! ASPET…

 

BANG!

 

Ci voltammo tutti, in tempo per vedere Leonardo coprirsi gli occhi. Accanto a lui, pietrificati, la sorella maggiore Carla ed il fidanzato di lei, Luigi, un energumeno biondo, in canotta verde che metteva in evidenza i muscoli. Non ci volle molto per avere l’ennesima conferma che la sua chioma fulva serviva da copertura per mascherare una evidente assenza di cervello. 

– Te l’avevo detto di non farlo, brutto imbecille!

– Ma Carla io non pensavo che…

– Tu non pensi. E basta! 

Carla era una ragazzona ben piazzata, con modi da maschiaccio. La conoscevo dai tempi dell’asilo, mollava di quei ceffoni da far girare la testa già allora. E non era cambiata.

Era il giorno della festa del paese, a metà agosto. Una delle poche attrattive ere la Pesca di Beneficenza parrocchiale. Uno dei premi ambiti dai bimbi erano i palloncini colorati, distribuiti a dozzine. Un divertimento portarli in giro, vederli volare, farli scoppiare pizzicandoli.

Tutti pensavano che fossero gonfiati con elio, ma noi ragazzi che collaboravamo con lui ad organizzare la Pesca sapevamo che don Emilio, il parroco, usava il molto più economico idrogeno. Ancora più leggero dell’elio, ma altamente infiammabile.
Ricordo che lo aiutavo a gonfiare i palloncini. Il prete, impavido, teneva la sigaretta accesa fra le labbra mentre riempiva di gas i palloni. Io avevo paura di saltare in aria. Lui lo sapeva, ed ogni tanto, scherzo da prete, ne faceva scoppiare uno gonfiandolo troppo. Io sobbalzavo terrorizzato, mentre don Emilio sghignazzava.
Nonostante le scarse precauzioni non accadde mai nessun incidente.
Fino a quella sera, quando Luigi ebbe la bella trovata di far scoppiare il palloncino di Leonardo con la brace di una sigaretta. Il gas prese fuoco con una fiammata ed un botto. Unica conseguenza, per fortuna, la strinatura delle sopracciglia del ragazzino, nonché il terribile spavento.

Mentre Carla e Luigi si allontanavano, con la ragazza che piantava vigorose gomitate nelle costole al bestione, sgranando una litania di epiteti al suo indirizzo, noi iniziammo a ridere e a prendere in giro Leonardo che, come suo solito, scappò sulla sua bici nuova, togliendoci il divertimento.
Ci dimenticammo ben presto di Leonardo e delle sue sopracciglia bruciacchiate. L’obiettivo della serata era quello di intrufolarsi nel parco comunale, dove l’immancabile orchestrina di liscio stava sciorinando il suo repertorio di valzer e mazurche.
Stavamo decidendo se scavalcare un muretto o strisciare nell’ombra per il campo sportivo confinante con il parco, quando ci planò davanti Luciano, sgommando sulla sua scassatissima bici.

 
– Ehi! Ho visto il Perticone e Cecilia che andavano verso il viale del cimitero! Vanno a limonare! Andiamo a vedere?

Il Perticone era un ragazzo che veniva dal paese vicino, più grande di noi. Era alto e ben piazzato, un vero duro, e possedeva una Cagiva Aletta Rossa, il sogno di tutti i ragazzi costretti a girare in bicicletta o con catorci di motorini.
Cecilia era la ragazza più bella del paese, sebbene avesse solo quattordici anni. Consapevole delle sue doti, disdegnava tutti i suoi coetanei. Il Perticone aveva le doti giuste per lei: era più grande, in età e in statura, era il più deciso e soprattutto possedeva quel gioiello di moto.

 

– Il viale del cimitero? Così, al buio? E non hanno strizza?
– E certo, coglione! Credi che vadano a slinguacciare davanti al municipio?

– Dài, andiamo a disturbarli!
– Dài!

 
Saltammo in bici e ci muovemmo alla volta del cimitero. Era situato appena fuori dal paese, ben oltre l’ultimo lampione. Ci si arrivava attraverso un lungo viale di platani, all’ombra dei quali erano da tempo immemore state sistemate alcune panchine. Durante il giorno si venivano a sedere gli anziani, soprattutto in estate, dove si poteva trovare un po’ di fresco. Fra noi ragazzi girava la teoria che i vecchi si preparassero per la loro sosta definitiva: man mano che l’età avanzava si sistemavano su panchine sempre più vicine al cimitero.
Di notte, però, quel viale aveva un aspetto decisamente cupo: il buio, le spettrali lucine fra le tombe, le ampie chiome dei platani, fruscianti al minimo alito di vento, ci inibivano dall’avvicinarci troppo.
Ma quella era la sera del Giorno della Festa! Il paese illuminato, l’orchestra le cui note raggiungevano anche il luogo di riposo eterno, l’inconsueta quantità di persone in giro a quell’ora facevano sembrare tutto possibile, facevano apparire remoti i pericoli.
Raggiungemmo l’inizio del viale, fermandoci ad un decina di metri dalla prima coppia di alberi. Anche se eravamo in quattro, temevamo che il Perticone potesse aversene a male e ci rifilasse un mano di botte.
Lasciammo le bici nel punto in cui ci eravamo fermati e proseguimmo a piedi. Non ci si vedeva quasi per niente, appena entrati nel viale iniziammo a sentire freddo. Ci sembrò addirittura che la musica dell’orchestra, ben distinta fino a qualche metro prima, si fosse di colpo affievolita. Smettemmo di parlare ad alta voce, solo qualche sussurro che contribuì ad aumentare l’inquietudine che ci aveva afferrati. Finalmente iniziammo a intravedere la sagoma della moto del Perticone. Aguzzando gli occhi ci accorgemmo anche di un’altra sagoma, apparentemente umana, accanto alla Cagiva.
Pensammo che fosse lui, e ci immobilizzammo. La cosa che si vedeva meglio era la testa, che appariva di dimensioni spropositate, con una forma allungata. No, decisamente non era il Perticone.
Inoltre la testa oscillava lentamente da sinistra a destra. Facemmo qualche passo avanti e quello strano essere sembrò avvicinarsi a noi, sempre mantenendo l’oscillazione laterale.
Mi vennero in mente dozzine di film di fantascienza in cui l’alieno o il robot avanzano proprio con quella cadenza. E la stessa cosa doveva aver attraversato la mente degli altri, perché ci fermammo, terrorizzati, guardandoci l’un l’altro

 

– Ma cos’è?
– Viene verso di noi!
– No, è fermo

– Cos’è? Accidenti!

 
E indietreggiando ci allontanammo lentamente. Nessuno voleva essere il primo a girarsi e fuggire a gambe levate.

In quel mentre sentimmo alle nostre spalle il rumore di un motorino che si avvicinava e dietro di noi inchiodò, slittando sulla ghiaietta del viale, il Garelli rabberciato col fil di ferro di Lorenzo, un tipo solitario che alla compagnia preferiva fare lunghi giri su quell’accrocchio di ciclomotore che suo fratello gli aveva passato. Ci voltammo verso di lui per dirgli dello strano essere, quando dall’oscurità del viale si levò la voce del Perticone e la risata di Cecilia

 

– Che cazzo succede lì? Chi c’è?

 
Volgendoci verso la voce ci accorgemmo che il fanale del motorino di Lorenzo illuminava la creatura oscillante.
La quale altro non era che un palloncino blu appeso al manubrio della Cagiva del Perticone, oscillante nella brezza.

 

– Adesso vengo lì e vi spacco il culo a tutti!

 
Ma noi eravamo troppo impegnati a sghignazzare per preoccuparci.

 

Ecco, questa ed altre cose accadevano in quelle sere di fine estate, le sere del Giorno della Festa.

Poi, un po’ alla volta hanno smesso di accadere, e nessuno ha più visto alieni o robot avanzare oscillando lungo il viale del cimitero.